Il tempo è come l’acqua, impetuosa e scrosciante: in fondo, il nome stesso di Introd significa “tra le acque”…
E c’è una notte dove questa corrente tumultuosa ed inarrestabile apre delle porte speciali, che ci mostrano la vita d’un tempo narrata da voci che parlano dal passato: la nuit des temps.
Come ogni avventura, la nuit è un viaggio vero e proprio, passo dopo passo tra le vie e gli edifici del meraviglioso paese alle porte della Val di Rhêmes e della Valsavarenche: tutto è muto, in un silenzio rotto dalle parlate in patois che illustrano arcaiche storie di vita vissuta, e illuminati solo dalla luce delle torce.
Perchè una notte così speciale, unica, dove questi varchi del tempo si palesano ai viaggiatori, necessita una discreta distanza dai vizi della vita moderna.
Ascoltando lo scrosciare melodico della Dora di Rhêmes e del torrente Savara, ci accoglie a Les Villes la prima porta sul tempo: la Maison Bruil.
Le pietre massicce circondate dalle case dai tetti in losa accoglie les voyageurs in questo meraviglioso esempio di architettura valdostana, uno dei più tipici tra le vallate del Parco Nazionale Gran Paradiso.
La “crotta” e il “crotteun”, la stanza di essicazione, il legno e la pietra: elementi che ci ricordano l’organizzazione della vita rurale in questi villaggi; una vita ancor più dura – come ci viene evidenziato dal primo “salto temporale”, che ci catapulta nel 1940 – durante la guerra.
Il patos era bandito dal regime fascista, ma tra l’intimità delle mura domestiche, si perpetuava di nascosto il seme della tradizione.
Le case di Le Norat sono il fiume del tempo sopra cui, come foglie d’autunno nell’ansa di un torrente, i viaggiatori vengono accolti tra le atmosfere intime dei villaggi di montagna.
Profumi e sapori, stufe accese e comignoli: il momento è sospeso tra le ere, perchè per assaporare l’attimo vissuto tra queste mura bisogna soffermarsi sui dettagli.
Personaggi a cavallo tra il mondo reale e quello del sogno, metafora dello spostarsi da valle a monte, e viceversa: Giorgio sognava di volare, perchè gli pareva inutile questo continuo faticare per vivere…e immaginava un ponte sopra la Dora di Rhêmes a livello del castello…chissà se lo avrebbero mai costruito – diceva il nostro “voyageur du temp”!
Il patois scandisce i dialoghi: melodico ma semplice, raffinato e al tempo stesso “rurale”, segna il trait d’union nella vita degli abitanti, e avvolge i viaggiatori come un nastro di seta danzante, a tratti allegro, altre volte serio…
E, quasi inaspettatamente, ci troviamo immersi in questa seconda porta del tempo, nel suono ritmico dei “sabots” sulla strada, dove la via sorpassa la Dora di Rhêmes sul meraviglioso ponte costruito durante la I^ guerra mondiale, a singola arcata, compiendo un balzo sul baratro di 80 metri sotto cui canta il torrente.
…viaggiare implica, in un certo senso, l’avere sempre un pò di fede: un sentimento verso le altre persone, verso i nostri passi, verso la natura e il divino.
Di nuovo, la corrente del tempo ci trascina dinanzi alla terza porta, la bellissima chiesa parrocchiale di San Paolo, antica di quasi un millennio (i primi documenti la attestano nel 1176, poi rimaneggiata nel corso dei secoli): le luci minimali aiutano ad apprezzare il momento, le forme e le splendide suggestioni scenografiche del tempio, visto da una prospettiva inusuale.
Canti gregoriani, preghiere ed orazioni sospese nei secoli: la “confraternita” si materializza nel suono filtrato dalle antiche mura, evocando il senso di raccoglimento e di sosta: la meravigliosa architettura è un teatro dove i nostri sentimenti più intimi ci abbracciano.
La luce segna gli attimi: un percorso che si dipana tra epoche diverse, ognuna prodiga di insegnamenti e di aneddoti, di storie e leggende, di personaggi importanti ed eroi sconosciuti.
Il fulcro del paese di Introd è anche l’occhio della sua essenza: il Castello di Pierre de Sarriod.
La quarta porta è forgiata tra mura massicce, che hanno vinto la sfida con il tempo, invocando in noi un senso di sicurezza, e forse anche di sudditanza…
I signori del maniero sono i fieri depositari della storia che aleggia nelle fastose stanze: Pierre de Sarriod e sua moglie Caterina di Challand sono prodighi di aneddoti, mentre la corte è indaffarata nella vita quotidiana del medioevo valdostano.
Il castello, ai tempi del sovrano, non sapeva ancora di andare incontro a prove difficili, come il grosso incendio che ne deturpò l’aspetto; ma, come ci racconta Pierre de Sarriod, la speranza che le genti future continuino ad amarlo, riportandolo agli antichi fasti, è un pensiero fiducioso che il regnante si porta nel cuore.
Un banchetto fatto di prodotti semplici ma veri, richiama la tradizione: la storia passa anche attraverso il cibo e le bevande, la fontina e il séras, le trote guizzanti delle acque che cingono Introd e il vino bianco che raccoglie il lavoro tra le vigne.
Il tempo, ora sospeso nell’aria fredda della nuit, d’un tratto scorre nuovamente riportandoci ai giorni nostri, alla realtà: il sogno che ci ha scaldato il cuore e l’animo, facendoci vivere una notte di magie e di patois, di pastori e sovrani, di umili dimore e di castelli, giunge al termine.
La nostra vita e noi stessi “siamo” la storia: il passato ha gettato le fondamenta, e noi ci sosteniamo su di esse.
Sta a noi poi avere cura delle antiche mura, riparandole e conservandole, o ricordare le leggende in patois per imparare a vivere meglio nei giorni nostri.
Rimembrare il tempo passato arricchisce ciò che facciamo nel presente e nel futuro, come un viaggio ricco di ispirazione dove, come cullati dai nostri sogni, diventeremo anche noi parte della storia.
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