Il pane è uno degli alimenti base della tradizione culinaria mondiale: ogni cultura, nazione e religione porta con se il retaggio del pane, il pasto primigenio.
E la nostra Valle d’Aosta, culla della civiltà alpina, ha davvero un rapporto speciale con il suo pane!

Foto di Alberto Peracchio

Il pane, nella civiltà montanara, è sempre stato non solo un bisogno primario, ma anche un momento di vera aggregazione: nei giorni di “San Martino“, ai primi di Novembre, di solito scadevano i contratti di lavoro e con essi i pagamenti di affitto dei campi e delle strutture agropastorali.
I contadini ed i pastori si trovavano quindi nel periodo di termine dell’anno agrario, proprio nei giorni che da sempre segnano l’inizio del periodo più freddo e dell’accorciarsi significativo delle giornate.

Foto di Alberto Peracchio

Ed è proprio attorno al forno del pane che le famiglie e le comunità si ritrovavano per realizzare questo prodotto che li avrebbe sfamati nei mesi a venire: un vero e proprio momento di aggregazione.
Per questo motivo dal 2015 la regione Valle d’Aosta ha voluto recuperare la giusta importanza per questo momento così significativo di tutte le comunità alpine, celebrando una vera e propria “festa del pane”…ed essendo il tipico pane valdostano il “pane nero” – o in patois “lo pan ner” – il nome della manifestazione non poteva essere altrimenti.

Foto di Alberto Peracchio

I forni, in questo giorno speciale, vengono così aperti al pubblico, dove avvicinandosi agli abili gesti dei panificatori, ascoltando seminari e dibattiti e partecipando a laboratori, chiunque può immergersi appieno nello spirito rinnovato di questa preparazione così importante da fungere come tessuto di unione per tutta la comunità.

Foto di Alberto Peracchio

Il locale dove si realizza il pane – la “tsambra di pan” oppure “tsambra de couée” – è un locale semplice: una stufa per scaldare l’acqua, un supporto per impastare, un tavolo per la farina e delle mensole dove lasciare lievitare i pani e dove venivano appoggiati a raffreddare dopo la cottura.
Due trucchi ingegnosi rendevano speciale questo pane a lunga, anzi, lunghissima conservazione (veniva consumato ancora come pane “fresco” ancora nei giorni di Natale!): la temperatura elevata della “tsambra”, per aiutare la lievitazione, e l’utilizzo di acqua corrente, senza calcare, poichè quest’ultimo avrebbe ritardato la fermentazione.

Foto di Alberto Peracchio

Il primo passo è preparare il lievito, in un lavoro a cui erano dedite le donne più abili, dal luppolo che cresce spontaneo nei campi, e dopo averlo fatto ben riposare (il lievito veniva preparato da un anno per l’altro), assimilato dalle mani esperte, si poteva unire alla farina.
Questa proveniva, in montagna, generalmente dalla farina di segale; se si voleva la farina di grano la si doveva acquistare in pianura: per poterla comprare si vendevano i prodotti caseari dell’estate, quali burro e formaggio.
La più costosa era la farina di puro frumento, ed il pane ottenuto, più raro, era considerato un dolce.
Mani forti, generalmente uomini, impastavano il tutto, poi veniva fatto lievitare. Le donne preparavano il paston, da cui ricavavano porzioni di impasto più piccole, creando le forme di pane.

Foto di Alberto Peracchio

Lavoravano gruppi di persone, membri della famiglia o comunque membri di una comunità, ed il lavoro era diviso in varie fasi. Il pane era inciso con dei tagli o segnato con le dita: a volte vi erano impresse le iniziali di una famiglia quando si utilizzava in più persone la stessa infornata.
Una volta che la pasta era lavorata, si coprivano i pani con un telo e venivano messi a lievitare di nuovo su file di assi; dopo questa fase si passava all’infornata, ultimo atto di questo processo antico e sentito.
Il classico pane di segale era, ed è ancora oggi, a base piatta e bombato nella parte superiore, di forma rotonda; per capire se la cottura era giusta si davano colpetti con le nocche per saggiarne la durezza.

Foto di Alberto Peracchio

In tantissime località valdostane si è quindi celebrato questo rituale culinario che affonda le radici nella storia più tradizionale e popolare, infiltratosi nei nostri retaggi culturali: rivivendo la tradizione si scoprono e si ritrovano sapori atavici.
Oltre alla Valle d’Aosta questa manifestazione ha preso piede anche in diverse zone della Lombardia e nel cantone dei Grigioni in Svizzera, valicando i confini nel 2016; nel 2017 si è aggregato anche il Piemonte, il Parc des Bauges in FranciaUpper Gorenjska in Slovenia.
Il pane che aggregava i membri di una comunità, oggi – nell’era multimediale – unisce popoli dell’intero arco alpino.
Questa festa è stata celebrata proprio nel weekend appena trascorso (13 e 14 Ottobre), e qui possiamo ammirare le fotografie scattate dal nostro Alberto Peracchio, a Torgnon in Valtournenche.

Saremo quindi più consapevoli che…siamo davvero quello che mangiamo! Il pane diventa epiteto della tradizione antica, ripetendo gesti arcaici tramandati nei secoli, e oggi ritrovati per celebrare un identità ritrovata in un momento di vera festa, rispettando l’anima originaria di questo periodico ed importante momento di aggregazione di una comunità che, una volta era un piccolo paese alpino…ed ora è internazionale.